Questo articolo inizia con una domanda apparentemente semplice, ma forse non così scontata nella risposta.
E’ probabile che tra le prime risposte date vi possano essere, ad esempio, il team con cui si lavora, il nome forte e riconosciuto dell’azienda, l’attinenza con il percorso di studi fatto, la vicinanza da casa, il livello economico e i benefit percepiti, e via dicendo.
Non sempre però ci si sofferma su un’analisi più attenta e approfondita e, qualora lo si faccia, è importante saper dare il giusto peso alle cose che davvero per noi contano e sono importanti, al di là che queste possano essere di fatto, degli aspetti socialmente “ambiti”. Ad esempio, di sicuro è apprezzabile il fatto di avere un lavoro in una buona azienda e anche degnamente retribuito, ma questo di fatto può anche non compensare completamente altri aspetti legati alla propria soddisfazione personale, come fare un lavoro in un ambiente che rispecchi a pieno i propri valori, le proprie passioni, le proprie attitudini, le proprie competenze e le proprie necessità.
Quando ci si sente poco realizzati (o in parte) nel proprio lavoro è utile capire quanto tempo si dedica realmente alle cose o alle situazioni di proprio interesse e soddisfazione – quelle che solitamente “ci escono bene” o meglio che “ci fanno stare bene” – e quanto invece a quelle che infondo non ci gratificano particolarmente. Tutte le situazioni durature di poca reale soddisfazione che non contribuiscono ad un equilibrio generale devono poter sempre ricondurre ad un’unica domanda: ne vale la pena? E ancora, se si, per quanto tempo?
La barriera del “non ho alternative” si costruisce mano a mano come una gabbia che impedisce di aprirsi alla sola possibilità di provarci, di confrontarsi con se stessi e al di fuori, ed approfondire tutte quelle aree che potrebbero essere migliorate: non necessariamente tranciando di netto il proprio lavoro, ma magari analizzando tutti quegli aspetti che potrebbero essere affrontati e rivisti, non per forza da soli, prima che questi possano peggiorare.
Prendiamo il caso di Noemi, responsabile di negozio. Noemi si rende conto che la parte che ama di più del suo lavoro, ossia il contatto diretto con il pubblico e i processi di vendita, al momento sta venendo molto meno per potersi dedicare con grande scrupolosità alle incombenze di tipo amministrativo. A lungo andare, questo porta in Noemi un crescente senso di stress e disallineamento con il suo ruolo. Noemi, non molto tempo dopo, capisce che la soluzione più adatta a lei è imparare a delegare maggiormente ad alcuni membri del suo team o a figure specializzate esterne, e dedicarsi maggiormente a quello che sa fare meglio, aumentando così i suoi guadagni.
In maniera ideale, la percentuale di tempo dedicata a quello che non ci piace fare (o che ci fa stare poco bene) dovrebbe essere sempre inferiore rispetto a quella che invece riguarda gli aspetti più gratificanti e soddisfacenti del nostro lavoro.
Cosa si può migliorare? Se non sempre si rivela necessario un vero e proprio cambiamento di posto di lavoro, ben più importante è imparare a saper valutare in maniera consapevole le attività e le situazioni da seguire e quelle invece da cui iniziare a fare una dovuta riflessione.